Trasformare, abbattere e ricostruire o innestare nuovi pezzi di città contemporanea nel tessuto urbano consolidato? Personalmente porterei a esempio il caso della riconversione di due silos granai sul waterfront di Copenhagen in torri residenziali (progetto Mvrdv) perché non nascondo che lo studio olandese guidato da Winy Maas e responsabile del Mirador madrileno è in cima alla lista dei miei preferiti. Ci sono anche loro nel manuale “Upgrade Architecture”, curato da Carlo Prati e Cecilia Anselmi per Edilstampa e presentato ieri sera a Roma nell'ambito dei lunedì dell'architettura Inarch.
Il tema è di grande attualità, soprattutto a Roma dove bisogna decidere, per esempio, il destino di Tor Bella Monaca. Gianni Alemanno ha scomodato Leon Krier, l'architetto del principe Carlo, stiamo freschi con la città contemporanea, allora. E cosa fare dei tanti edifici residenziali pubblici degli anni ’50 e ’60? Cosa fare dell’archeologia industriale diffusa lungo le coste italiane da Porto Vecchio a Trieste al Sud Italia fino alla costa ligure?
Un confronto a tutto campo che il libro di Anselmi e Prati favorisce. All’estero sono numerosi gli interventi di “upgrade architecture”, dalla trasformazione della centrale elettrica di Madrid in un edificio per la Caixa Forum (progettata da Herzog e De Meuron) alla riconversione di un ex cartiera in un edificio multiuso a Tallin (firmata da Koko Architects), alla riconversione di una torre dell’acqua in una casa per studenti a Gentofle in Danimarca firmata da Dorte Mandrup.
Evitare l’abbandono e il degrado di edifici e di pezzi di città le cui funzioni originarie sono decadute e allo stesso tempo proporre un’alternativa alla demolizione e ricostruzione – non sempre sostenibile dal punto di vista economico – ha come unica risposta l’upgrade. Innestare nuovi pezzi di architettura su strutture esistenti, sovrapporre elementi o ampliare quello che già c’è. Franco Purini, intervenuto nel dibattito di ieri, ha commentato questa tendenza come segno della decadenza. “Sono dispiaciuto – ha detto – che l’architettura italiana abbia scelto la discontinuità nei confronti della tradizione e stia seguendo quello che fanno gli altri paesi europei. È come se il nuovo non fosse più ritenuto un tema centrale, si sposa l’ibridazione”. Purini guarda queste architetture etichettandole come “mostruose". A noi basta portare anche in Italia un vento europeo. La difesa dell'identità storica che guarda sempre al passato non ci è mai piaciuta.