Renzo Piano dice una cosa ovvia per chi si occupa di architettura, forse non per il grande pubblico di Fazio-Saviano: anche in Italia servono concorsi di progettazione che diano la possibilità anche ai giovani di partecipare ed emergere. Così funziona da quasi 40 anni in Francia, così in molte parti d'Europa. Non in Italia. Perché? Per tre ragioni principali.
La prima è che in Italia il progetto continua a essere visto come un fastidioso incidente che porta alla costruzione. La legge Merloni che aveva tentato meritoriamente di mettere il progetto al centro del processo di produzione dell'opera pubblica è stata fatta a pezzi per questo. E cosa ci è stato riproposto? Niente meno che l'appalto integrato, vecchio arnese che unisce confusamente progetto e realizzazione nelle mani dello stesso cartello di imprese, aiutando la lievitazione dei costi.
Il progettista da noi continua a essere un anonimo e anche nei giornali ce ne vuole per far passare l'idea che un progetto ha un nome e un cognome, una firma, mentre si ricorda più facilmente chi costruisce.
La seconda ragione è che in Italia un appaltatore, impresa o progettista che sia, viene trattato ancora come un suddito, salvo poi fare ricorso e spuntare begli aumenti di "parcella". L'amministrazione pubblica in Italia può ancora permettersi di pagare un lavoro ultimato quandone ha voglia, senza nessun vincolo temporale e senza nessuna moralità in quello che dovrebbe essere un rapporto contrattuale paritario. Figuriamoci se un'amministrazione pubblica – avallata da norme varate soprattutto dai governi Berlusconi 2 e 3 che hanno innalzato le soglie per le trattative private nella progettazione – si fa scrupolo di chiamare il progettista amico, più o meno qualificato, per affidargli l'incarico fiduciario. Questo è uno scandalo, che si siano alzate le soglie delle trattative private senza che nessuno se ne lamentasse pubblicamente (tranne noi e pochi altri). E figuriamoci se l'amministrazione pubblica si fa problemi a indire un concorso e poi annullarlo o, peggio, portarlo avanti per un po' e poi abbandonarlo o non assegnare i premi o ancora non realizzare il progetto vincente. Vogliamo cominciare a sanzionare pesantemente questi comportamenti? Questo vale per il legislatore ma anche per la Corte dei conti. E, ovviamente, per gli elettori. Da questo punto di vista, ben venga Renzo Piano e il suo appello, ma passiamo dalle parole ai fatti. Una bella proposta di inziativa popolare con qualche decina di migliaia di firme?
Ultima motivazione del mancato decollo dei concorsi, la più delicata ma anche quella che incide nella carne viva del settore. Vogliamo negare che per anni e decenni l'architettura italiana sia stata governata da una cupola di cui hanno fatto parte i soliti noti? L'espressione cupola non vuole aver riferimento alcuno a organizzazioni criminali o a spartizioni in senso stretto di appalti. Cupola di un pantheon dove i "migliori" hanno sempre preso tutto: questo vuol dire.
Ho apprezzato delle parole di Renzo Piano a "Vieni via con me" il riferimento polemico, fugace ma chiaro, all'accademia. L'asse accademia-politica-riviste-professione non ha forse egemonizzato l'architettura in questo paese? Pur rifiutando l'accademia e pur avendo dovuto emigrare all'inizio per imporre il suo talento per poi restare in esilio a lungo, Renzo Piano ha fatto parte di questa egemonia e i molti progetti presi senza concorso in Italia da Renzo Piano sono lì a dimostrarlo. Credo che Piano, come Massimiliano Fuksas, avrebbero potuto e forse possano ancora fare molto per l'architettura italiana, proprio perché la loro origine è diversa e puntava a rompere quell'egemonia. Ma ora non basta andare in tv a fare proclami.
Solo con le generazioni più giovani, dai 50enni come Cucinella (che ha cominciato allo studio di Piano) ai 40enni di oggi e ancor più ai 30enni, è maturata un'idea di professione e di mercato che non c'era prima. L'idea che la professione di architetto passi per un mercato e per imporsi bisogna lavorare lavorare e lavorare senza passare per i soliti crocevie e le solite strade di potere: l'accademia, le riviste, gli amici politici o amministratori locali, la rete di relazioni non sempre trasparenti con il mondo dell'impresa. Molti di questi giovani ed ex giovani hanno dovuto rinunciare, ma molti cominciano ad affermarsi. A loro – e non a Renzo Piano – il compito di rompere il mercato ingessato di un tempo e aprirne uno nuovo. Ci stanno riuscendo? Un po' sì, ma è lì che oggi le amministrazioni pubbliche stanno facendo davvero male, chiudendo questi spiragli anziché aprirli. Su questa sfida davvero epocale sarebbe bene che Renzo Piano facesse sentire davvero la sua voce. Ha fatto molto per dare lustro all'architettura italiana. Ora che anche per lui passano gli anni, faccia questo ulteriore e decisvo passo. Speriamo che "Vieni via con me" sia l'inizio di un nuovo corso.