La Corte costituzionale ha dato il via libera a due dei quattro referendum sull'acqua. Uno dei due riguarda la formazione della tariffa idrica e, cancellando la componente della remunerazione del capitale investito, elimina di fatto anche il principio del full cost recovery, la copertura di tutti i costi di gestione e investimento con la tariffa (al netto ovviamente delle protezioni sociali). E' un colpo al finanziamento privato di investimenti idrici. Ancora più generale e più devastante l'altro quesito, quello che cancella la riforma Fitto non sull'acqua, ma sull'intero comparto dei servizi pubblici locali a rilevanza economica. Oltre ai servizi idrici la disciplina vale almeno per i rifiuti e il trasporto locale.
Si tratta di una norma molto articolata e più volte riformata. Eliminandola integralmente – e non solo per la parte che impone la privatizzazione forzata ai comuni – il referendum non si limita a cancellare gli aspetti più radicali della privatizzazione/liberalizzazione voluta dal governo Berlusconi ma propone un gigantesco ritorno all'indietro. Si torna, in sostanza, allo strapotere delle aziende pubbliche con il sistema esclusivo o quanto meno largamente prevalente dell'affidamento in house, cioè diretto e senza nessun confronto competitivo alle società controllate dagli stessi enti locali.
Questo accadrà non solo nell'acqua, come dice la propaganda referendaria. A godere per l'opportunità referendaria in questo momento ci sono anche le centinaia di aziende pubbliche del trasporto pubblico abituate da decenni a gestioni in rosso.